lunedì 4 novembre 2013

Il mio indimenticabile Seba



Petrascu è stato il principe del Forlì negli anni in cui ho preso la sbandata per il biancorosso. Prima seguivo la squadra con giornalistico distacco e parecchia sufficienza, nel primo anno di serie D è scattata, chissà perché, la molla. E il Forlì era soprattutto lui. Erano lui, Bardi e Perazzini, il Cammellu, Sozzi, Balestra, Spighino, Mordini. Ma soprattutto lui, transilvanico attaccante al quale non sono mai riuscito ad avvicinarmi abbastanza da comprenderne i tratti caratteriali. Schivo al limite dell'infastidito, malinconico e parolacciaio in campo, incapace di compiere quel salto di qualità che per tre anni gli ha chiesto Bardi: aiutare la squadra quando è in difficoltà, comprendere le situazioni di gioco, subire un fallo piuttosto che sventagliare alla cieca e di prima direzione volontari della Croce Rossa. Ma Seba è stato soprattutto il finalizzatore più freddo che ho visto al Morgagni. Un Trezeguet senza colpo di testa ma con lo stesso chirurgico, innato ed elegante senso della porta. E' stato uno del gruppo, uno disponibile - vi garantisco che non è da tutti - a travestirsi da Conte Dracula con tanto di canini per l'Halloween del 2011, oppure di portarmi la sua foto in biancoenero dei tempi dell'asilo (ce l'ho ancora in borsa), un primo giorno di scuola nel quale il Carlino intervistava personaggi famosi della città. Per i compagni è sempre stato uno la cui batteria andava tenuta in carica ogni settimana, pena il rischio di vederlo finire come è finito quest'anno: mentalmente distaccato dalla contesa.

L'estate scorsa il Forlì aveva deciso di privarsene per motivi tattici-caratteriali. Lui, con un biennale in tasca, voleva restare nonostante i tanti quattrini che gli venivano offerti a destra e manca. Pedroni con un colpo di astuzia lo convinse a spalmare l'ingaggio su questa e la prossima stagione. Sarebbe dovuto essere un quarto attaccante da spavento, perfetto per spaccare le partite nei secondi tempi oppure per dare il cambio - e si è visto quanto ce ne sarebbe stato bisogno - a Bernacci. Per settimane Cangini mi ha ripetuto che quella di Lorenzo era stata un'idea fantastica, da grande manager. Di fatto però il progetto è andato quasi subito in fumo. Escluso dalle attenzioni dell'allenatore, la fiammella di Petrascu si è affievolita. Ha perso spunto, convinzione, entusiasmo, partecipazione. Fino all'incrocio dei pali colpito su punizione ad Alessandria: quel tiro avrebbe potuto cambiare la sua stagione e ridargli fiducia. Chissà. Ma il calcio va dritto per la sua strada e quella del romeno era ormai segnata. Va all'Imolese dove ritrova vecchi compagni e una categoria nella quale, se trova gli stimoli, è immarcabile. Al Forlì resta il ricordo - 52 gol in 101 partite: il primo il 5 dicembre 2010 a Teramo, 0-1 sul sintetico, l’ultimo il 5 maggio 2013 al Morgagni contro il Bassano, su rigore - di uno tra i cinque attaccanti più forti della sua storia.

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