mercoledì 11 febbraio 2015

Essere Richard Vanigli



Non è facile di questi tempi stare nei suoi panni. Non perché siano particolarmente scomodi: c'è sempre chi si sveglia alle 6 del mattino per andare a lavorare all'Electrolux, o chi come me viene svegliato di notte per un incidente grave. Ma Richard non è mai stato, mi pare, uno che sappia godere molto del presente professionale. Mi sembra piuttosto un uomo che fuori e dentro di sé tende sempre a cercare il difetto per migliorarsi. Un insoddisfatto cronico, il ché nel calcio può anche essere un vantaggio, a patto di saperla gestire.

Il calciatore Vanigli era un difensore da squadre minori in serie A, da fascia di capitano in B. Non un fenomeno ma neanche uno di quei sedicenti marcatori che si vedono oggi e stanno a tre metri dall'attaccante oppure beccano a una finta di Zaza che se la porta sul sinistro (ma dai?). Vanigli studiava moltissimo prima delle partite. Studiava i movimenti della squadra avversaria e quelli dell'attaccante che avrebbe dovuto marcare. Preparava ogni dettaglio e questo gli dava spesso un vantaggio da sfruttare in partita, quando un tackle sembra istintivo e una corsa all'indietro timorosa. No, Richard sapeva prima quale scelta avrebbero fatto in ogni situazione Trezeguet e Inzaghi, Totti o Adriano. Questa dedizione scrupolosissima al proprio mestiere ne ha fatto, insieme e forse più di tecnica e forza - un difensore da 53 presenze in serie A. E poi, di conseguenza, un allenatore.

Con Bardi il rapporto era molto amichevole, anche perché Vanigli aveva smesso di giocare proprio con Attila in panchina, ed era stato proprio Attila a guidarlo nei primi passi da vice nell'estate del 2011. In quei due anni e spiccioli a fianco di mister 3-4-3, Vanigli ha imparato molto di quanto si porta oggi nel bagaglio. Ha introiettato le convinzioni tattiche di Bardi, scorgendone però anche i limiti caratteriali nella gestione dello spogliatoio. Vanigli preparava negli allenamenti la fase difensiva del Forlì, che non era un compito facile considerando la natura offensiva che in ogni partita pretendeva l'allenatore di San Piero in Bagno. Richard ha vissuto con fastidio le critiche pesanti e spesso assurde che qualche socio rivolgeva a Bardi. Ha capito come muoversi nel sottobosco biancorosso. E nel momento del distacco ha preso l'unica decisione possibile. Stringere i pugni e restare. Anche se il Forlì aveva deciso - per me sorprendentemente - di non passare a lui il testimone.

L'esonero di Bardi nel novembre 2013 è stato traumatico ma chi si aspettava (me compreso) che Richard avrebbe mollato la posizione aveva preso una cantonata. Vanigli ormai aveva deciso che avrebbe fatto l'allenatore. I sentimenti, il rispetto, perfino l'amicizia erano un'altra cosa. Stavano da un'altra parte, forse giustamente. Con Rossi alla guida del Forlì Vanigli ha vissuto un'altra fase del proprio apprendistato. Legandosi perfino umanamente al suo secondo 'mentore', uno scrupoloso almeno quanto lui, tanto da dire nel giorno della sua presentazione come primo allenatore che l'esonero di Rossi era stato 'ingiusto e incomprensibile'. Avete mai sentito dire una cosa del genere da uno che è appena arrivato là dove sognava di arrivare? Io no.

Ma non era finto, Richard. Lo pensava davvero. E diede quel giorno un primo assaggio di quello che avrebbe voluto essere in panchina. Uno tosto. Che dice le cose in faccia. Non il ragazzo che fuori dal campo in molti descrivono timido o addirittura insicuro, tanto da far dubitare a lungo i soci sulla opportunità di affidargli la prima squadra. Il Vanigli allenatore voleva essere diverso. E per un po' c'è riuscito.

Poi sono arrivate le sconfitte. Qualche brutta partita. Accenni di critiche. Cavolate scritte sui giornali da gente come me, che il calcio lo segue alla tv o da dietro una porta la domenica. Fantoni deve giocare di qua, Hamlili è meglio spostarlo di là. Il problema è che Richard è innanzitutto una persona molto sensibile. E non ha un bagaglio di esperienza da allenatore alle spalle, non può pensare 'questa cosa l'ho già vista, finirà così', non ha ancora provato tante volte il sapore della rivincita da sapere che lavorando duro prima o poi arriva. Ed è piacevolissima.

A me sembra che in queste ultime settimane Richard, a forza di studiare schemi e avversari, abbia smarrito qualche certezza, vera o apparente che fosse. E debba ritrovare quell'empatia, direbbe Mourinho, che ogni allenatore tranne Pioli e Rossi deve avere con la squadra e l'ambiente circostante. Si è curato troppo dell'opinione altrui dimenticando che l'unico che ne capisce davvero di pallone, lì dentro e anche qui fuori, è lui. Che abbiamo tutti quanti fiducia nelle sue capacità perché noi siamo quelli che parlano sempre dopo, il lunedì. Siamo quelli che giudicano la partita dal risultato per quanto esso sia figlio di situazioni casuali. E siamo soprattutto, tutti quanti (mi auguro), suoi tifosi. Ma davvero.