giovedì 5 febbraio 2015

Ruggisci, Leo


Stagione pece per Jidayi, che salterà per un ematoma che non si riassorbe Carrarese e anche Grosseto. La contemporanea squalifica di Drudi riaprirà le porte della squadra titolare a Leonardo Arrigoni, che finora ha giocato pochino: 747 minuti in campo, 9 volte titolare, due volte espulso (Grosseto e Prato).
Eppure il ragazzo, 22 anni e altrettanti infortuni alle spalle, vale abbondantemente la Lega Pro per tecnica, fisico e testa. Sarà la volta che diventa il re della foresta?

Il Forlì è una squadra organica?



Tra le tante cose dette ieri dal Micio in conferenza stampa, e volendo uscire dalla dicotomia leader-mercenario entro la quale rischiamo di perderci tutti quanti, mi ha colpito molto la spiegazione che ha dato Daniele della crisetta, di spirito e di gioco, attraversata dal Forlì nelle ultime due partite  (Teramo e Santarcangelo). Melandri ha detto, testuale, che i giocatori del Forlì si sono 'aiutati meno' del solito e che i reparti erano 'poco coesi' tra loro. Mi è venuto in mente il passaggio di un libro che sto leggendo in questi giorni, una raccolta di saggi sul calcio che si intitola 'La partita di pallone' (ed. Sellerio) e comincia con un pezzo bellissimo dello scrittore serbo, naturalizzato svizzero,  Vladimir Dimitrijevic, intitolato 'Il re calcio'.

(...) Ci sono squadre meccaniche, disciplinate, e ci sono squadre organiche, come il corpo umano. In queste ultime, tutto è naturale, come la quiete degli organi che chiamiamo salute. Camminando per strada, non ci curiamo del fatto che in quel preciso istante il nostro cuore pompa sangue, i muscoli si contraggono, i polmoni si dilatano. Allo stesso modo non si può costruire una squadra se non mediante una profonda capacità di compenetrazione tra l'allenatore - colui che vede la squadra, la valorizza - e, naturalmente, le individualità che la compongono. 
Ci sono direttori d'orchestra dotati di tale capacità. Io che non sono un esperto in materia di musica, constato osservando Furtwangler che egli è la somma di tutti i suoi musicisti, di tutti i loro strumenti e del messaggio che gli giunge dalla sottile alchimia della decifrazione di ciò che gli ha trasmesso un compositore per lo più già morto; che egli è l'allenatore (il significato della parola non è molto adatto), il coach (termine altrettanto improprio) che ha assorbito tutta la squadra e tutte le caratteristiche - qualità e difetti - dei suoi giocatori. 
Le grandi squadre, soprattutto quelle che menzionerò, sono fatte di amici, di compagni d'infanzia, di figli di una determinata epoca, di una classe sociale o di una nazione. L'amicizia e l'infanzia hanno un ruolo fondamentale. La squadra è un sogno, la squadra è una fede. E' come l'equipaggio di un aereo da combattimento: ognuno deve assolvere il proprio compito per la sopravvivenza di tutti, per segnare il gol evitando di incassarne. 

Probabilmente è su questo aspetto, più che sul piede invertito di Fantoni (Andrea hai ragione, non lo scriverò più neppure io) che deve lavorare Vanigli per riportare la squadra, al momento tutt'altro che organica, in carreggiata.