I tre racconti dei ragazzi della Palmezzano che hanno incontrato Kalle, il Micio e Casadei.
L’incontro è cominciato con un discorso sul grande valore
che un abbraccio ha nel mondo dello sport. Prima dell’intervista, infatti, ci
siamo soffermati su un gesto molto importante, un’azione comune: quello di
tenersi per mano. Com’ è successo a due atlete che hanno vinto una gara in
queste olimpiadi invernali a pari merito e per esultare si sono tenute per mano
e hanno gioito insieme.
Alberto Calderoni è stato per quattordici anni il capitano
della squadra del Forlì calcio con la maglia numero 6. Ha eseguito 24 goal nei
campionati e 8 in
coppa Italia. Sarebbe potuto andare a giocare in squadre più famose e forti, ma
ha preferito rimanere nella squadra e nella città da dove era partito,
indossando la maglia biancorossa.
La cosa essenziale nella vita non è trionfare, ma lottare.
Alberto ci ha detto che lo sport dovrebbe aiutarci a
crescere; il suo obiettivo è unire le persone. Bisogna avere il coraggio di
provare e rischiare perché nello sport ci sono cose che non si possono
raccontare ma bisogna viverle. Successivamente ha risposto alle nostre domande:
* D: Cosa hai provato quando sei diventato capitano? R: Ero
sicuramente molto contento, ma anche il portare la fascia si capitano e
l’esserlo non ti rendono diverso dagli altri tuoi compagni, è un incarico che
offre responsabilità e ti fa diventare un punto di riferimento per la squadra.
Non mi ritenevo superiore ai miei compagni. Il capitano deve essere il tramite
tra allenatori e compagni, deve essere la persona che risolve le difficoltà. In
cambio si è riconosciuti in maniera autorevole.
* D: Hai mia scommesso su una partita? R: No, perché il
calcio scommesse all’età in cui giocavo io non esisteva e perché per principio
chi gioca non può scommettere. Oggi succede e mi sembra sbagliato, questo è uno
dei motivi per cui la società si è disgregata.
* D: In caso di infortunio i tuoi compagni ti hanno
assistito? R: Non ho mai avuto problemi, ma alcuni compagni hanno attraversato
momenti difficili e io li ho aiutati. Anche in una classe scolastica dovrebbe
essere così.
* D: Nella carriere sportiva sei sempre stato leale? R:
Certe volte mi sono arrabbiato molto, ma di solito sono stato leale. A volte si
può avere la malizia di superare l’avversario, ma ci sono sempre dei limiti da
rispettare. Dentro di te devi sentire il limite sia negativo che positivo, la
famosa linea rossa di confine.
* D: Hai sempre rispettato il fair play? R: Sì, ma in alcune
partite mi sono anche innervosito per un risultato negativo.
* D: Cosa è successo negli spogliatoi quando hai sbagliato
un tiro? R: Dipende dalle persone, la loro maturità e il loro carattere;
l'errore non è fatto volontariamente, si fa di tutto per non farlo ma alla fine
scappa, però bisogna essere consapevoli che di averci provato perché il
successo è raggiunto sbagliando. La competitività è il meglio che puoi dare per
migliorare. Dopo un errore non bisogna ritornare in dietro ma andare avanti e
riprovarci.
IL SUCCESSO E’ UN INSIEME DI ERRORI DELLA VITA
* D: Hai mai subito ripercussioni nello spogliatoio se
commettevi errori in partita? R: In età giovane mi sentivo preso in giro,
mentre da adulto no, anche perché un errore non è commesso volontariamente. Si
può essere rivali senza essere nemici.
* D: Quando hai capito di essere bravo? Chi te lo ha fatto
capire? R: Non sono sicuramente il più bravo, perché ci sono tanti altri
migliori di me, ma ce l’ho sempre messa tutta, ce l’ho fatta con l’impegno.
Bisogna sempre impegnarsi senza perdere la speranza.
NON BISOGNA MAI TIRARSI INDIETRO
Una cosa importante che ci ha fatto capire è quella sulla
differenza tra i compagni di scuola e il gruppo sportivo; noi pensiamo che la
scuola sia individuale, ma in realtà in entrambi i campi conta l’aiuto verso
gli altri compagni in un lavoro, ma anche l’unione del gruppo stesso, coma si
dice in un proverbio: “L’unione fa la forza”. Una classe è come una squadra,
unita per raggiungere un obiettivo, se qualcuno è più bravo di un altro non
deve demoralizzarlo ma aiutarlo.
Alberto si è soffermato ad elencare e commentare i diritti
dello sportivo, che non dobbiamo dimenticare, specialmente quando diventeremo
adulti.
* Non essere campione
* Aver esempi giusti tempi di riposo
* Rispettare i propri limiti
* Non assumere sostanze nocive
* Fare sport in sicurezza
Il tutto condito con le regole del Fair Play, che non solo
indica il gioco leale, ma tutte le norme che rendono uno sport positivo (anche
per chi perde!) :
* Non usare inganni per ottenere il successo
* Rendere ogni tipo di incontro un momento di festa
* Essere leale con gli altri e diffondere regole giuste
* Soccorrere uno sportivo infortunato
* Dare il meglio di sé nella vittoria e nella sconfitta da
cui si può imparare tanto
In più Alberto ha aggiunto che “prima bisogna conoscere se
stessi per poi aprirsi con gli altri”. La cosa essenziale è il rispetto verso
le altre persone, perciò bisogna rispettare i propri limiti, per non invadere
gli altri e anche per essere rispettati; dobbiamo sempre cercare di migliorare
noi stessi senza delegare la colpa di un risultato negativo ai compagni.
1° F
Nel nostro mondo tutti i ragazzi e le ragazze praticano
almeno un po’di sport, a scuola o fuori
L’attività sportiva riguarda molti aspetti della persona,
particolarmente importanti per i ragazzi e le ragazze che crescono.
Si tratta infatti di acquisire e di utilizzare capacità
fisiche, ma anche attitudini che riguardano il carattere e il modo di stare con
gli altri.
Anche l’ex- capitano della squadra forlivese ha raccontato
che lo sport è un modo per socializzare e migliorare le proprie caratteristiche
fisiche.
I giochi di squadra come ad esempio il calcio, ma anche la
pallavolo, la pallacanestro e altri ancora, sono più formativi, soprattutto per
i bambini e le bambine che stanno crescendo perché uniscono l’impegno e la
responsabilità personale al senso di appartenenza al gruppo e alla solidarietà.
Nel gioco di squadra come il calcio i ragazzi verificano che
a tutti può capitare di sbagliare e chi è insicuro può acquisire quella
sicurezza in se stesso di cui ha bisogno.
Il gioco di squadra serve anche a bambini e bambine che
tendono ad essere un po’troppo sicuri di sé, che sono egoisti e poco abituati a
condividere le sconfitte: giocare in gruppo significa RISPETTARE gli altri, non
solo i più bravi, ma anche quelli meno abili; serve ad imparare che non sempre
si vince, alle volte si perde.
Molti ragazzini fanno fatica ad “ incassare” una sconfitta.
Anche l’ex-capitano del Forlì, Alberto Calderoni, ci ha
riferito di essersi arrabbiato dopo una partita persa ma è comprensibile la
delusione per la sconfitta e un pizzico di gelosia verso i “vincitori”; l’importante è limitare il nervosismo. Inoltre gli insuccessi nello sport non
devono essere vissuti come un dramma, anzi, possono servire a crescere e a
vivere meglio.
E’ importante anche sapere che non tutti sono nati per
diventare “ CAMPIONI”.
Dall’incontro di sabato 15 febbraio con Alberto noi ragazzi
della 1L abbiamo capito che non bisogna farsi condizionare dai risultati
negativi e nemmeno da quelli positivi; egli ci ha spiegato che durante la sua
carriera ha imparato che si deve accettare la sconfitta nello stesso modo in
cui si gioisce per un successo.
La cosa più importante è sentirsi in pace con la coscienza
per il proprio impegno e la propria LEALTA’.
1° L
Se sfogliamo un qualsiasi vocabolario, alla voce “fair play”
la spiegazione sarà: comportamento rispettoso nei confronti degli avversari.
Una risposta troppo sintetica per interpretare le tante sfaccettature di questa
espressione. Intanto, in qualsiasi sport, si deve giocare per vincere, questa è
l’unica sola finalità, la vittoria, per ottenere la quale (e qui subentra una
delle tante sfaccettature del fair play) si devono rispettare le regole del
gioco, con lealtà, aiutare i compagni di squadra, glia avversari, nonché, gli
arbitri; e, in caso di sconfitta, accettarla con dignità. Inoltre, è molto
importante rifiutare la corruzione, il doping, il razzismo, la violenza e
qualsiasi cosa possa arrecare danno allo sport.
Un brillante esempio di fair play lo possiamo identificare
in Albero Calderoni, giocatore del Forlì Calcio e capitano per quattordici
anni. Proprio per il ruolo così importante che ha ricoperto negli anni, egli,
più che mai, ha dovuto osservare e rispettare le regole del fair play per
dirigere squadre vincenti. Quando il 15 febbraio 2014 è venuto a scuola con lo
scopo di farci capire l’importanza del fair play ha iniziato il suo intervento spiegando
che questo atteggiamento non deve essere presente solo sui campi da calcio, ma
soprattutto nella vita di tutti i giorni.
Gli è stato poi chiesto: “Sei sempre stato leale?” e lui,
con grande umiltà ha risposto che qualche volta ha perso la pazienza con gli
avversari, che non sempre era d’accordo con l’arbitraggio e che spesso ha
protestato; ma che nessuna volta ha fatto male volontariamente al suo
antagonista. Ha sempre indossato la sua maglia con onestà e orgoglio, e mai e
poi mai è sceso in campo con uno scopo diverso, da quello di vincere una
competizione.
L’intervista è proseguita con un botta e risposta
intervallato dalla visione di brevi cortometraggi inerenti all’argomento
trattato che uno dei nostri insegnanti (Prof. Marco Susanna) aveva preparato
con molta cura; ad esempio abbiamo visto un filmato che mostrava come i figli
tendano a emulare le azioni dei propri genitori, positive o negative che siano
e questo richiama gli adulti a grandi responsabilità.
Un altro cortometraggio mostrava un atleta che, durante una
gara di qualificazione olimpica, raccoglieva da terra una rivale infortunata e
la portava a tagliare il traguardo insieme a lei.
Noi, da sportivi, non possiamo ignorare l’intervista di
Albero Calderoni e la sua preziosa testimonianza; non sappiamo se riusciremo ad
essere come lui, però la prossima volta giocheremo potremo provare ad
assomigliargli almeno un po’, ricordando quello che ci ha insegnato. Grazie al
Forlì calcio ed ai suoi Dirigenti per questa bella esperienza di sport ma soprattutto
di vita.
3° F
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