Stamattina Alberto insieme a Marco Susanna, Pardo e Brunelli ha fatto visita ai ragazzi del Melozzo, in via Romanello da Forlì. Vedete dalle foto quanti erano, riporto qui sotto la lettera di Giuliana Salce, 12 volte campionessa italiana e oro ai campionati del mondo di atletica leggera indoor di Parigi nel 1985 sui 3 km di marcia. La Salce ha avuto a che fare col doping, l'ha denunciato ed è stata fatta fuori dal sistema. Fa la spazzina a Roma. Susanna ha letto ai ragazzi le righe che seguono.
Mi alzo tutte le mattine alle quattro e mezza, per andare a lavorare. Da due anni faccio l’operatrice ecologica, la spazzina, a Roma. Sono a metà tempo, dalle 6 e mezza alle 11 e cinquanta, all’AMA (Azienda Municipale Ambiente). Raccolgo la differenziata porta a porta per 700 euro al mese. Non è facile, con un figlio di 23 anni. Ma poteva anche andarmi peggio.
Mi chiamo Giuliana Salce e sono stata un’atleta di fama e di record internazionali. La mia specialità era la marcia: 12 titoli italiani, cinque outdoor e sette indoor. Nell’83, a L’Aquila, ottenni il mio primo record del mondo nella 5 chilometri ,nell’85 vinsi nei tremila metri la medaglia d’oro ai mondiali indoor di Parigi. E due anni dopo conquistai due argenti: uno agli europei, a Liévin, e uno mondiale a Indianapolis, sempre indoor. Per questi risultati sono stata inserita nella Hall of Fame - I migliori atleti italiani di sempre della Fidal (Federazione italiana di atletica leggera). Con lo sport ho combattuto i miei problemi giovanili di bulimia e di anoressia. E forse anche per questo sono stata un’atleta longeva e creativa, nell’agonismo. Nel ‘99, a 43 anni, decisi di passare dall’atletica al ciclismo, categoria master. Non immaginavo che per la mia voglia di pulizia avrei conosciuto il dolore, la disoccupazione, perfino la lotta per la sopravvivenza.
Ho combattuto il doping e sono stata abbandonata da tutti. Nel 2004, dopo la morte di Marco Pantani, decisi
di autodenunciarmi. Per quattro mesi un consigliere della Federazione ciclistica mi aveva di fatto costretto a doparmi: epo (eritropoietina) e gh (ormone della crescita). Faceva tutto lui. Decideva sostanze, dosi, tempi. Mi diceva solo: prendi la pasticca. All’inizio ti senti onnipotente, imbattibile.
L’epo ti fa aumentare la resistenza a dismisura.
di autodenunciarmi. Per quattro mesi un consigliere della Federazione ciclistica mi aveva di fatto costretto a doparmi: epo (eritropoietina) e gh (ormone della crescita). Faceva tutto lui. Decideva sostanze, dosi, tempi. Mi diceva solo: prendi la pasticca. All’inizio ti senti onnipotente, imbattibile.
L’epo ti fa aumentare la resistenza a dismisura.
Con il gh , le mie gambe erano cambiate: possenti, forti, senza un filo di grasso. Una mia amica, il giorno del mio compleanno, il 16 giugno, mi disse: «che belle cosce che hai. Come hai fatto?». Vincevo, arrivavo seconda in montagna, io che sono nata al mare. Ma l’effetto sulla testa era negativo. Terribile. E anche sul fisico: ho avuto un tumore alla tiroide, quasi sicuramente provocato dall’epo, e un’infezione che non passa alla gamba, per colpa del gh: mi avevano fatto prendere quello ricavato dai cadaveri. Prima di vuotare il sacco ne parlai con mio figlio Barnaba, che fa pugilato ed è campione regionale dei pesi welter, ma non prende nulla perché io gli assaggio anche la borraccia dell’acqua. Gli dissi che ci avrebbero reso la vita molto difficile. Io volevo denunciare tutto quello schifo soprattutto per tutelare i giovani: si può vincere anche senza rovinarsi. Il doping tra i ragazzi, e perfino tra i bambini, è una piaga. Il papà di un piccolo calciatore, conoscendo un po’ la mia storia, mi chiese che cosa poteva dare a suo figlio per farlo diventare più forte. Barnaba non esitò un istante: «mamma vai! Sono con te!». E allora sono andata in una trasmissione televisiva e ho raccontato tutto. Temevo ritorsioni e consegnai una lunga lettera a un avvocato.
In quegli stessi giorni, Ivano Fanini, il titolare di una squadra ciclistica importante, Amore e Vita, e un grande combattente contro il doping, mi mise in contatto con i Carabinieri del Nas di Firenze. Alle 17.30 di un pomeriggio di aprile erano a casa mia. Parlai fino alle quattro di mattina. Molte cose le sapevano già, compreso il nome del consigliere della Federazione che mi faceva dopare. Nel blitz del giugno 2004, quello della famosa operazione della Procura di Roma, Oil for drug, fu arrestato e mandato a processo insieme ad altre 137 persone, tra cui il famoso dottor Michele Ferrari, il dopatore del marciatore Alex Schwazer e del ciclista Lance Amstrong.
Nel periodo in cui mi autodenunciai lavoravo in un centro sportivo. Il titolare mi disse di lasciare perdere con le denunce e mi dimezzò le ore di lavoro. A proposito, mamme e papà: fate attenzione perché nelle palestre gira di tutto, si fanno le punture di gh nelle cosce e anche gli integratori, se non sono controllati, possono fare molto male perché li “tagliano” con dosi di anabolizzanti. Nel 2004, insomma, mi trovai completamente disoccupata. Riuscii, fortunatamente, a ottenere un lavoro: alle quattro di mattina andavo in un centro commerciale per pulire. Arrotondavo, ogni tanto, facendo lo stesso in alcune case private. Non sapevo come andare avanti. Ricevevo le scatole di alimenti dalla Croce Rosse. Quando arrivavano a Natale per mio figlio era una festa. Mi veniva da piangere. Andai anche alla Fidal a chiedere aiuto. Mi fecero grandi promesse. Aspettai e aspettai. Finché arrivò la telefonata. Volevano farmi lavorare. Ero felice.
Invece, mi offrirono di andare ad attaccare in giro i manifesti del Golden Gala: «ti diamo più che agli extracomunitari». È chiaro, no, perché sono felice di fare la spazzina per il Comune di Roma? Ma la mia partita con lo sport e con la lotta al doping non è certo chiusa. Oggi sono una signora di 57 anni, anche se avrei tranquillamente potuto gareggiare fino a 50 se non mi fossi autodenunciata, e dico: per fortuna che mi sono dopata soltanto per quattro mesi! Sto scrivendo il mio libro con una mia amica e un medico-biologo, e sto iniziando un corso di atletica per bambini nel cortile di una scuola di Ostia. Cerco un piccolo sponsor per le 20 magliette. Vado nelle scuole elementari a spiegare ai bambini che il doping è come l’alcol e come la droga. Crea dipendenza, perché ti porta in vetta con facilità, ma poi fa tanto male. Loro capiscono benissimo. Non so se dire per fortuna o purtroppo. Per fortuna, perché si possono salvare da una visione dello sport e della vita “drogata”. Purtroppo, perché già sanno: alcuni di loro hanno genitori che li stanno avvicinando a questa pratica. Un segnale d’allarme?
Se a sei, sette anni giocano con il bicarbonato, con l’Aulin o con la Citrosodina , c’è qualche cosa che non va. I bambini ti mettono con le spalle al muro. Una piccola, durante la mia lezione, ha alzato la mano e mi ha chiesto: «Ma tu lo sapevi?». «Sì». «E allora, perché l’hai fatto?».
Giuliana Salce
Il problema grosso, oltre agli atleti professionisti, è che si dopano dopolavoristi per fare la corsetta domenicale, impiegati sovrappeso che vogliono andare più forte in bicicletta dell'amico del bar o giovani imbecilli che credono che l'unico sistema per fare un pò di fisico sia non il sudore e la fatica ma la punturina o peggio ancora la pasticchetta di nandrolone.
RispondiEliminaIo ho fatto anni di pesi e ne ho visti di dementi bombati spesso anche senza nessuna cognizione di causa, ma quando conosci padri di famiglia addirittura indagati dalla procura per uso e spaccio di sostanze dopanti ti cascano le braccia...
senza parole ........ che robe ......
RispondiEliminaAncora ancora complimenti ad Alberto a Marco Susanna & Co per l'iniziativa splendida che stanno portando avanti nelle scuole.